Lettera sul randagismo

Avrete notato tutti, animalisti e non, che il cane, in pubblicità è di moda. A parte la pubblicità specifica riguardante i mangimi, ci sono ben pochi spot dove, o come protagonista, o almeno in una piccola “comparsata” non figuri un cane. Quindi l’argomento fa audience. Non si vede, né si sente assolutamente nulla, invece, che riguardi il randagismo nelle sue molteplici forme. Chi si muove in questa realtà conosce bene quali e quante siano le continue richieste di aiuto per liberarsi di un cane o un gatto. Durante il lockdown molte persone hanno adottato un animale solamente perché si annoiavano o stavano cercando una scusa per poter uscire di casa.
Ora queste bestiole sono diventate delle presenze ingombranti e faticose: come liberarsene? Inizia quindi una serie di telefonate a canili e rifugi tutti ormai troppo pieni e privi quasi sempre di qualsiasi contributo.

Un altro aspetto del randagismo sono le numerosissime cucciolate nate da cagne e gatte randagie, o più spesso per incuria o ignoranza di chi dovrebbe esserne responsabile. Chi si prenderà cura di loro per la vita? Evitare le nascite è l’unico sistema valido per limitare i randagi, ma anche in questo caso chi ci dovrebbe pensare? Noi, come altre strutture analoghe sterilizziamo gratuitamente o sottocosto migliaia di animali, ma è solo una goccia nel mare. Molte persone non possono o non hanno voglia di affrontare una sterilizzazione troppo costosa e quindi evitano di farlo. Le strutture pubbliche fanno troppo poco rispetto alle necessità e quei privati che cercano di supplire devono affrontare problemi enormi. Perché questo argomento rimane così poco noto? Non se ne parla quasi mai, eppure gli animali sono vittime della paura e del dolore fisico quanto noi. Basterebbe una briciola, l’1% del tempo dedicato ossessivamente sempre agli stessi argomenti per rendere visibile il problema, invece c’e’ un’indifferenza totale e i cassonetti dell’indifferenziata continuano ad essere troppo spesso, per tanti poveri esseri che nessuno vuole, l’unica soluzione.

di Xenia Prelz
Presidente della Fondazione Prelz onlus – ETS